Ottobre-dicembre 2008


Intervista a Lorenzo Flaherty - Dicembre 2008

I buoni mi piacciono di più

Il 7 gennaio, quando lo vedremo su canale 5 ne “Il mistero del lago”, ci trascinerà in una raggelante storia di fantasmi... Per fortuna, presto Lorenzo Flaherty tornerà anche a indossare i rassicuranti panni del capitano Venturi!

Quando la sera del 7 gennaio Lorenzo Flaherty tornerà in tv nei panni “anni ‘20” di uno dei protagonisti de “Il mistero del lago”, qualcuno si affretterà a regolare il termostato del proprio appartamento, o ad aggiungere un ciocco nel camino, nel tentativo di scacciare i brividi che sentirà correre lungo la schiena... Ma la temperatura della stanza non gli sarà d’aiuto: non gli resterà che goderseli, quei brividi, lasciandosi catturare da questa storia di fantasmi ricca di suspense! Dal canto nostro, in attesa di sobbalzare anche noi sul divano per la tensione, abbiamo raggiunto Flaherty telefonicamente, fra un turno di doppiaggio e un altro, per chiedergli che rapporto abbia lui per primo con i film “paurosi”...
Il genere horror le piace?
“Sì, mi ha sempre attratto, sin da quando ero piccolo. Da ragazzino ero appassionato di film ‘gotici’ come quelli prodotti in Inghilterra dalla Hammer Film Productions: i vari ‘Dracula’ e anche altri titoli con due attori straordinari, Christopher Lee e Peter Cushing”.
Quindi la storia de “Il mistero del lago” le è piaciuta subito?
“Leggendo la sceneggiatura l’ho trovata subito interessante e soprattutto ho trovato molto ‘moderna’ la scelta di proporre un thriller-horror di questo tipo come tv movie. E avendo visto un’anteprima, posso anticiparvi che è stato anche molto ben confezionato”.
“Giro di vite”, il romanzo breve di Henry James da cui è tratto il film, aveva già avuto molte trasposizioni sia sul grande sia sul piccolo schermo... In cosa si differenzia la vostra versione?
“È più ‘nostra’, più italiana. Siamo riusciti a costruire un bel thriller italiano partendo dall’adattamento di un testo straniero. Fra l’altro, le bellissime location scelte si sono adattate benissimo alla sceneggiatura. Fin dalle prime scene, c’è un’atmosfera misteriosa e intensa”.
Il suo personaggio, Elia, non è un uomo simpatico, è molto diverso dai personaggi positivi che interpreta nei polizieschi... Si è divertito a fare la parte, per una volta, di una persona poco gradevole?
“Mi sono divertito moltissimo, perché è davvero diverso dai personaggi che normalmente interpreto. Si presenta subito come una persona difficile da prendere, un tipo burbero e poco incline a modificare le sue convinzioni e le sue abitudini. Poi, però, vedrete un’evoluzione positiva del personaggio: gli autori, infatti, lo hanno reso un po’ diverso dal personaggio originale del libro. Alla fine si rivelerà quasi eroico!”.
A proposito di eroi... sta per partire, sempre su Canale 5, la quinta stagione di “Ris - Delitti imperfetti”. A “Distretto di polizia” lei rimase solo due stagioni, spiegando di aver voglia di cambiare... I panni di Riccardo Venturi, dopo cinque stagioni, non le stanno stretti?
“Venturi mi piace molto e mi piace moltissimo, fin dall’inizio, il format di ‘Ris’. Lo trovo innovativo, anche dal punto di visto tecnico e della sceneggiatura. Ancora mi diverto....”.
Quindi è pronto per la sesta stagione?
“Vediamo... Bisogna prima verificare come andrà questa stagione, se piacerà al pubblico. Io non mi tirerei indietro, se ne confermassero un’altra. Fra l’altro, le confesso che dopo tanti anni è bello essere veterani di un set e poter mostrare ai nuovi arrivati come si fanno le cose, aiutando così anche i registi... Mi piace mettere a disposizione l’esperienza che ho acquisito in questi anni”.
Quali sono le novità della quinta stagione?
“Ogni anno cerchiamo di proporre cose nuove. Il ‘Ris’ di questa stagione, per esempio, sarà un prodotto molto diverso dai precedenti a livello di immagine: il nostro direttore della fotografia, ha fatto un lavoro straordinario, totalmente differente dal passato e molto moderno. Vi sembrerà di vedere qualcosa di completamente nuovo! Nella trama, invece, quest’anno a fare da filo rosso fra le puntate non ci sarà più la storia orizzontale del serial killer: i Ris avranno a che fare con una setta, un’organizzazione criminale a piramide al cui vertice c’è un capo molto, molto cattivo....”.
Lei guarda la “concorrenza” straniera, i telefilm come “C.S.I”?
“Qualcuno sì. Mi piacciono in particolare proprio ‘C.S.I.’ e ‘24 ore’: trovo siano i migliori prodotti in circolazione... insieme al nostro ‘Ris’, però!”.
Lei ha lavorato anche in una soap opera, “Incantesimo”: sarebbe disposto a ripetere l’esperienza?
“No, a dir il vero io preferisco decisamente l’azione e il genere poliziesco. Quando partecipai al quinto ‘Incantesimo’ lo giravano ancora in pellicola, era in prima serata su Rai Uno, durava due ore a puntata, faceva grandi ascolti... quindi non era ancora una soap opera in senso stretto. Aveva una struttura diversa: era mezza soap e mezza fiction e questo lo rendeva un prodotto particolare. Nel complesso è stata una bellissima esperienza, con un pubblico molto attento e partecipe, che mi è piaciuto molto, ma il mio genere è un altro...”.
Quindi non possiamo sperare di vederla un giorno in un bel film romantico?
“Un film romantico? Perché no! Non lo escludo: se si trattasse di un film, non avrei problemi. Ho perplessità solo per quanto riguarda le serie romantiche: dopo un tot di puntate si rischierebbe di diventare ripetitivi e credo che mi annoierei!”.
Ha nuovi progetti in vista?
“Mi è stata proposta una nuova serie televisiva molto affascinante: un progetto piuttosto innovativo, un mix di realtà e mistero. Ma non ve ne posso parlare perché è ancora top secret! Dovremmo girarla a fine anno...”.
Le piacerebbe fare il cattivo, prima o poi?
“All’interno di una storia scritta bene credo proprio di sì. Tuttavia, anche se molti sostengono che i personaggi ‘cattivi’ siano più interessanti dei ‘buoni’, io non sono d’accordo: credo che i ‘buoni’ come quelli che interpreto io, i personaggi eroici come Venturi, siano sempre molto interessanti”.
Ne porterà qualcuno anche sul grande schermo?
“In effetti, ho anche un progetto per il cinema! È un action movie molto ironico, alla ‘Arma letale’, che gireremo fra l’Italia e gli Stati Uniti”.
Quando cominceranno le riprese?
“Non lo so ancora con precisione: tutto dipende da ‘Ris’. Se si deciderà di realizzere ‘Ris 6’, la lavorazione del film dovrà slittare per forza al 2010. Altrimenti, mi concentrerò su questo: stiamo già lavorando sulla sceneggiatura...”.
Non ci resta che dirle “in bocca al lupo” per tutti i suoi nuovi progetti...
“Grazie! Da parte mia, invece, un saluto a tutti i lettori di ‘xxxxxxxxx’!”.

Dana Delaney in “Desperate Housewives”, quinta serie - Dicembre 2008

Casalinga e contenta

Lo scorso 26 novembre, con un salto temporale di cinque anni rispetto alla stagione precedente, su FoxLife ha debuttato la quinta attesissima serie di “Desperate Housewives”, uno dei telefilm di maggior successo del decennio. Dana Delaney, entrata nell’esclusivo club delle casalinghe di Winsteria Lane solo l’anno scorso, fa un primo bilancio della sua esperienza sul set

Dana Delaney non sa spiegare a parole da cosa derivi esattamente la straordinaria popolarità di “Desperate Housewives”, ma dopo aver rifiutato quattro anni fa il ruolo di Bree - ed essersene presto pentita amaramente - non aspettava altro che poter approdare anche lei nell’esclusivo quartiere di Winsteria Lane.
L’opportunità tanto desiderata è arrivata lo scorso anno, quando Dana è entrata nel cast della quarta stagione della serie nel ruolo di Katherine, la nuova “casalinga disperata”. Nei suoi panni l’attrice si è trovata benissimo, soprattutto per la sua indipendenza, tanto che alla vigilia della partenza in America della quinta serie - quella che stiamo vedendo ora su FoxLife - mandava messaggi neanche troppo velati agli autori dichiarando di augurarsi che Katherine fosse destinata a conservarsi sempre così sarcastica e scaltra. “Katherine - ha spiegato - è piuttosto complicata, un carattere difficile da definire, ed è per questo che mi piace così tanto! Appare ipercontrollata, ma penso che dipenda da tutto ciò che ha dovuto subire in passato. E poi è anche decisamente intelligente: se ne frega di quello che pensa la gente, riesce a mantenersi fredda, distaccata, ed è così che riesce a manipolare le persone”. Ma nella vita reale, sostiene la Delaney, lei e il so personaggio non si somigliano per niente: “al contrario di Katherine, io sono molto disordinata e non si puà dire che sia una gran cuoca... Intendiamoci, cucinare mi piace, ma vivo da sola e cucinare solo per me mi sembrerebbe patetico... Mi dedico con impegno alla cucina solo quando invito qualcuno a cena. Me la cavo bene soprattutto con i dessert, come la mia torta al cioccolato...”.
Il salto temporale voluto dagli sceneggiatori, che hanno deciso di collocare gli episodi della quinta stagione del telefilm cinque anni dopo le vicende narrate in quella precedente, secondo Dana è stato un modo intelligente di “resettare” la situazione e avere l’opportunità di abbandnare le vecchie storyline rinnovando profondamente la trama. Quanto al ritorno in scena del personaggio di Edie (Nicolette Sheridan), che l’anno scorso era stata cacciata da Winsteria Lane dalle altre “casalinghe”, ma che è già ricomparsa fin dalla prima puntata di questa stagione, secondo la rossa attrice era inevitabile: “Nicolette - sostiene - è deliziosa e nella serie c’è davvero bisogno di quell’energia erotica che lei comunica così bene!”.
La Delaney non è certo una novellina: ha lavorato su dozzine di set, ha vinto due Emmy... ma ha dichiarato di essere rimasta senza parole di fronte all’opulenza della produzione di questa serie tv: “è stato pazzesco, avevo già lavorato in televisione per anni, ma non avevo mai partecipato a uno show di così grande successo e che avesse così tanto denaro da spendere: mi ha fatto andare fuori di testa!”. Per esempio, ogni attrice ha a disposizione un parrucchiere e un truccatore personali, che si occupano solo di lei, ospitati in quela che Dana ha definito “la più grande roulotte che abbia mai visto”. Per non parlare della casa del suo personaggio: “Ha l’aria condizionata ed è attrezzata come un’abitazione ‘vera’ fin nel più piccolo dettaglio: ogni cosa funziona davvero! E quando nella scorsa stagione girammo l’episodio del tornado che distrusse il quartiere, la produzione fece abbattere realmente una casa, scoperchiare il tetto dell’abitazione di Bree e distruggere completamente la strada. Penso ci sia voluto almeno un milione di dollari!”.
Ma anche l’atmosfera sul set invoglia a lavorarci: “si sta benissimo - racconta - e tutti i colleghi sono autentici professionisti: arrivano sempre in orario, conoscendo perfettamente le loro battute; lavorare così è davvero gratificante!”. E poi, l’attrice si dice convinta che sia più facile inserirsi in una serie di successo, piuttosto che partire da zero in un nuovo telefilm, senza contare che le colleghe l’hanno accolta con grande calore: “Sono state fantastiche. Fino al primo giorno di riprese, in realtà, non sapevano che ci sarei stata anche io. Ma in passato avevo già lavorato più o meno con tutti e quando sono arrivata sul set mi hanno semplicemento detto: ‘ciao Dana, che ci fai da queste parti?’, e poi tutto è andato benissimo...”. ★

“Come Dio comanda” - Dicembre 2008

Un amore disperato

Il 12 dicembre esce al cinema il nuovo film di Gabriele Salvatores: ancora una volta, una pellicola tratta da un romanzo; ancora una volta, un viaggio appassionante in quell’abisso di sentimenti umani “alla deriva” così caro allo scrittore Nicolò Ammaniti...

Gabriele Salvatores l’ha fatto ancora: per la terza volta, dopo “Io non ho paura” (2003), pellicola tratta dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti, e “Quo vadis, baby?”, trasposizione cinematografica del giallo di Grazia Verasani che sta alla base anche della nuova serie tv di Italia 1 (ne parliamo a pagina 44), il 12 dicembre torna al cinema con un altro film tratto da un’opera letteraria.
Il titolo del nuovo lungometraggio è “Come Dio comanda”, lo stesso del libro pubblicato da Ammaniti un paio di anni fa, vincitore del Premio Strega 2007. Ma la rinnovata collaborazione con lo scrittore romano - che ne firma la sceneggiatura insieme a Salvatores e Antonio Manzini - questa volta ha una cifra diversa dalla precedente, ed è stato lo stesso regista a spiegare esaurientemente in cosa consista la differenza: “Il primo a dirlo è stato proprio Niccolò Ammaniti. Per trarre un film dal suo romanzo ricco di 500 pagine e di una miriade di personaggi sorprendenti, tragici e comici, bisognava essere drastici e rinunciare a tante cose. Andare al cuore del romanzo, a quel rapporto tra padre e figlio che è la linfa emozionale della storia. Rinunciare all’affresco umano e sociale e concentrarci sulla dimensione ancestrale di questo rapporto: un lupo e il suo cucciolo. A differenza di ‘Io non ho paura’, che rispecchia fedelmente il romanzo da cui è tratto, qui dovevamo tagliare, ferire, a volte tradire.
Ci sono film che, come i bambini, crescono e acquistano, un po’ alla volta, una vita propria. E quando scegli gli attori, che è già metà dell’opera di costruzione di un personaggio, è bello poi vederli interpretare la musica che hai scritto e, magari, cambiarla. Così ti sembra nuova. E puoi immaginarti perfettamente i luoghi dove ambienterai il tuo film, ma poi arrivi in un posto, osservi un cielo o il greto di un fiume e la storia che vuoi raccontare fiorisce, si illumina, prende forza, anche se quel luogo è così diverso da quello che avevi in mente.
Questo film è cambiato tante volte nelle nostre teste, ma un giorno è diventato adulto, ci ha guardato negli occhi e noi abbiamo dovuto fare i conti con lui. Capannoni industriali, fabbriche, casette a schiera, centri commerciali, immense segherie, cumuli di alberi tagliati e accatastati ordinatamente… Ma intorno, tutto intorno, le montagne e i boschi impenetrabili, i fiumi che si inabissano, lasciando scoperti i sassi dei greti asciutti, come deserti, acque trattenute dalle dighe tra le gole delle montagne, una terra che trema e freme: la natura che ti accerchia, pronta a riprendersi quello che le hai strappato o che hai cercato di governare, pronta a rompere gli argini e a travolgerti in una notte di tempesta. E a liberare la parte animale che è in te...”. Ed è animalesco, infatti, il legame che unisce Rino e Cristiano Zena, rispettivamente padre e figlio. Rino (Filippo Timi) è un lavoratore precario, un uomo instabile e aggressivo instabile. Cristiano (l’esordiente Alvaro Caleca) fa la scuola media. Il loro è un rapporto d’amore tragico e oscuro. Soli, combattono contro tutto. Rino educa suo figlio come può e come sa. Cristiano lo ama e lo considera la sua guida spirituale. Hanno un unico amico, Quattro Formaggi (Elio Germano), rimasto mentalmente menomato a seguito di un incidente, che trascorre le sue giornate in casa, costruendo uno strano presepio fatto di pupazzi, soldatini, bambole e oggetti vari che trova nelle discariche della città.
Ma Rino è un uomo emarginato e violento che, pur adorando il figlio, sembra non sapere insegnargli altro che il linguaggio della violenza e della prevaricazione. Per questo, i due sono stati affidati a un assistente sociale che Salvatores ha voluto avesse il volto di un personaggio molto noto al pubblico televisivo: la “iena” Fabio De Luigi.★

Intervista a Valeria Graci - Novembre 2008

Dall’oratorio... al cinema

Dopo la falsa partenza di luglio, dal primo dicembre Italia 1 propone gli episodi inediti della sit-com “Don Luca c’è”, in onda dal lunedì al venerdì alle 19.05. Accanto al protagonista Luca Laurenti, qui nei panni del Don più simpatico del piccolo schermo, c’è anche Valeria Graci, volto già noto agli appassionati di “Zelig”

Il pubblico televisivo ti conosce soprattutto per il tuo talento comico: da attrice brillante quale sei, quali sono gli spunti più interessanti che hai trovato nel tuo personaggio?
“Laura Mazzetti, l’integerrima catechista di ‘Don Luca c’è’, è un personaggio molto diverso da quelli che avevo interpretato in precedenza, per questo mi sono avvicinata a lei studiandola un po’ come si fa a scuola, cercando di capire che tipo di carattere fosse, che passato potesse avere, in che rapporti potesse essere con i suoi colleghi, con il Don e i ragazzi del quartiere. Il grosso del lavoro per dar vita a Laura l’ho fatto proprio sul set: abbiamo cominciato a girare in ritardo e non abbiamo fatto prove, quindi è stato tutto frutto del lavoro quotidiano con gli attori e con la nostra bravissima actor coach, Lella Lugli, che ci ha aiutato moltissimo. Insomma, alla fine, ho cercato di essere brillante ma non eccessivamente comica come ero stata in altre situazioni”.
Prima di girare “Don Luca c’è” avevi mai incontrato persone di questo tipo, moraliste e bacchettone, alle quali poterti ispirare?
“Senz’altro! Infatti, in parte ho preso spunto dalla catechista con cui avevo avuto a che fare da ragazzina, all’oratorio: era tremenda, odiosa! La tipica persona frustrata che ‘avrebbe voglia di…’, ma poi non fa mai niente. Ma il mio personaggio ha molte sfaccettature: non è solo la bacchettona che si priva di tutto. In fondo, anche lei ha dentro di sé un pizzico di erotismo, di sensualità che cerca a volte di far emergere, ma che alla fine contiene sempre in nome della Chiesa e del suo rapporto con i ragazzi, ai quali deve insegnare la religione”.
Quindi è un personaggio realistico, per quanto buffo?
“Sì, infatti il mio sforzo maggiore è stato proprio questo: cercare di essere sempre naturale, di non avere una recitazione forzata. Per lo stesso motivo, ho tentato di equilibrare sempre le due cose, in modo da essere divertente, sì, ma al tempo stesso comportandomi da vera attrice, senza essere per forza una ‘macchietta’. Del resto, in alcune situazioni Laura si prestava veramente poco alla risata… In generale, comunque, ho sempre cercato prima di tutto di avere un buon feeling con Luca Laurenti: non è stato difficile e la cosa ci ha aiutato moltissimo”.
In un primo tempo, il programma era stato programmato per la scorsa estate, ma subito cancellato. Cosa ne dici della nuova collocazione quotidiana in fascia preserale? Gli episodi inediti che vedremo dal primo dicembre avranno maggiore fortuna?
“Non voglio entrare troppo in merito alle decisioni della rete, non mi permetto di giudicare le esigenze del palinsesto... Ma una constatazione va fatta: se si vuol dare risalto a un prodotto nuovo, se si desidera che abbia una vera occasione per conquistare il pubblico, forse non bisognerebbe programmarlo in estate, quando la gente guarda meno la televisione! Penso sia stato un errore, perché così la sit-com non è stata tutelata; un vero peccato, soprattutto considerando il grosso lavoro fatto: quattro mesi e mezzo di lavoro quotidiano, con ritmi frenetici! Il fatto che la nuova programmazione sia in forma di striscia quotidiana è interessante: mi auguro che possa aiutare il prodotto, ma non so fare previsioni, le lascio a quelli che le fanno per mestiere…”.
Com’è nato il tuo sodalizio con Katia Follesa, con la quale formi l’irresistibile duo comico Katia & Valeria?
“Ci siamo incontrate grazie ad amici comuni nel 2001, quando facevo il ‘Rocky Horror Show’ a Milano: lei venne a vedere lo spettacolo e fu... ‘amore a prima vista’! Comunque avevo già fatto tanto teatro e qualcosina in tv: dal punto di vista del lavoro, infatti, sono stata davvero molto fortunata, cominciando prestissimo, a 17 anni, a fare proprio quello che desideravo”.
Cosa ha significato partecipare a “Zelig”?
“Io e Katia siamo state lanciate proprio da ‘Zelig’ e indubbiamente è stata una grande esperienza! Del resto è una trasmissione rodata da anni e che fa ottimi ascolti...”.
Ora che progetti hai?
“Intanto continuare a fare quello che faccio... sperando di riuscire a fare altre cosa da sola. Il mio sogno, però, è poter fare cinema. Se Sergio Castellitto cercasse un’attrice... per lui lavorerei anche gratis! A parte gli scherzi, mi piacerebbe moltissimo anche una piccola parte, per cominciare. Certo, sai come funziona sul grande schermo: molto spesso è una questione di ‘faccia’. Se va bene la tua per quel personaggio... ti prendono. Quindi, spero che a un certo punto serva anche la mia! Ci spero molto, perché adoro trasformarmi. Questo, fra l’altro, è il motivo per cui ho trovato stimolante il personaggio di Laura, diverso da me in tutto, anche fisicamente, perché è piuttosto trascurata... Ma se serve per il personaggio, imbruttirmi non mi spaventa per niente: potrei radermi i capelli, ingrassare...”.
Quindi aspiri anche a ruoli drammatici?
“Certo! Il cabaret, del resto, è arrivato per caso: ho studiato teatro classico e da piccola volevo fare l’attrice drammatica. Ho proprio voglia di fare cose nuove, diverse. Continuerei volentieri a far ridere collaborando con la Gialappa’s... Ma il richiamo del cinema è davvero forte: mi sarebbe piaciuto moltissimo, per esempio, essere nell’ultimo film di Ozpetek! Desidero ruoli in cui ci si metta veramente a nudo e si cambi per aderire al personaggio: trasformarmi mi piace, è tutta la mia vita”.
Lanciamo allora un appello?
“Lanciamolo, lanciamolo! Insomma, per trovare un fidanzato si sa che gli appelli non funzionano... Ma chissà che non mi vada meglio con i registi!”. ★

Valentina Cervi in "Donne assassine" - Novembre 2008

Valentina, assassina perfetta

Valentina Cervi è la protagonista di “Margherita”, sesto episodio della serie di FOXCrime “Donne Assassine”, in onda in prima serata giovedì 20 novembre. In un progetto che ha radunato le più brillanti giovani leve del cinema italiano, del resto, la dotata nipotina di “Peppone” non poteva proprio mancare!


Lo abbiamo già scritto: per la fiction “Donne Assassine”, versione italiana di un fortunato format proposto per la prima volta in Argentina nel 2005, lanciata lo scorso 16 ottobre dal canale satellitare FoxCrime, sono state chiamate alcune delle più significative interpreti del cinema italiano. Nelle scorse settimane, infatti, nei panni delle protagoniste dei cinque episodi già andati in onda abbiamo visto all’opera Sandra Ceccarelli e Claudia Pandolfi, Violante Placido, Caterina Murino, Martina Stella e Ana Caterina Morariu. Questo giovedì tocca a Valentina Cervi dare un volto al delitto “in rosa” e la sua partecipazione al progetto di certo non sorprende: la serie, infatti, che nella versione originale sudamericana ha chiamato a raccolta alcune delle più importanti attrici locali (nel cui elenco riconosciamo anche nomi ben noti agli appassionati di telenovelas, come quelli di Ana María Orozco e Andrea del Boca), in Italia non poteva certo ignorare una delle più dotate figlie (e nipoti!) d’arte che il nostro cinema possa vantare. Valentina, dopotutto, non è solo frutto dell’unione di un regista (il padre Tonino) e una produttrice (la madre Marina Gefter), ma è anche la nipote del grande Gino Cervi, uno degli attori italiani più versatili del Novecento che tutti, anche i meno “ferrati” in storia del cinema, conoscono per essere stato Peppone nella celeberrima serie di film degli anni ’50 dedicata a Don Camillo, personaggio nato sessant’anni dalla penna di Giovanni Guareschi.
E pensare che, a dispetto di una simile eredità genetica, quale dovesse essere il suo destino non fu subito chiaro alla giovane Valentina, che da bambina fantasticò addirittura di farsi suora… Ma la confusione circa la sua reale “vocazione” non andò oltre la pubertà: a 17, infatti, per guadagnare qualcosa d’estate cominciò a fare l’assistente alla regia e alla produzione, divertendosi molto e lasciandosi così fagocitare dagli ingranaggi del mondo cinematografico. Poi, a 19, fu scelta nientemeno che dalla grande regista neozelandese Jane Campion per il suo “Ritratto di signora”, di cui era protagonista Nicole Kidman: da quel momento, ha raccontato Valentina in un’intervista di qualche tempo fa, “il passaggio dalla vita adolescenziale e scolastica al mondo del lavoro e del cinema è praticamente avvenuto quasi senza soluzione di continuità. Non ho avuto neanche il tempo materiale di pormi domande sul lavoro dell’attore e sulla scelta di una possibile alternativa. Ho ricevuto subito una sorta di ‘chiamata’...”. Nella medesima occasione, fra l’altro, l’attrice ha espresso molto bene anche il criterio con il quale è solita selezionare i personaggi che interpreta: “scelgo i progetti in base alla progettualità del film. Leggo un copione e cerco di capire cosa vuole seminare. E poi lo scelgo. Non faccio troppi calcoli. Per me hanno molta importanza i registi. Essere attori significa diventare complici di una visione. (…) voglio essere sicura che la progettualità che sta dietro al film sia importante, che il regista voglia davvero dire qualcosa o che perlomeno sia seriamente intenzionato a cercare di dire qualcosa”. E raccontando il suo modo di avvicinarsi a un personaggio, l’attrice ha anche chiarito il suo atteggiamento nei confronti di ruoli “controversi” e di caratteri non propriamente “solari”: “cerco di capire cosa muove un personaggio, poi lo sento dentro. Quando l’ho capito significa che l’ho fatto mio. Cerco di non giudicarlo possibilmente, soprattutto se interpreto un personaggio negativo o che comunque si muove nel mondo in maniera un po’ strana”.
Oggi, quindi, queste sue affermazioni ci possono essere molto utili per inquadrare la sua partecipazione alla serie “Donne Assassine”, suonando come attestati di stima sia nei confronti dell’idea stessa di questi otto film tv dedicati al lato più oscuro e pericoloso della femminilità, sia del regista che l’ha diretta in “Margherita”, il sesto episodio della serie, ovvero quel Francesco Patrierno che l’anno scorso firmò “Il mattino ha l’oro in bocca” - film tratto dall’autobiografia del conduttore radiofonico Marco Baldini e incentrato sui guai causati a quest’ultimo dal vizio del gioco d’azzardo - e che ancora prima, nel 2002, con la sua opera prima “Pater familias” aveva molto favorevolmente impressionato la critica. Ma c’è anche un altro motivo che potrebbe averla convinta a partecipare al progetto: il fatto di condividere la scena, seppur a distanza, ognuna nel suo episodio, con la collega Violante Placido; il loro primo sodalizio, infatti, risale al 2002, quando furono coprotagoniste dell’intrigante “L’anima gemella” di Sergio Rubini, e non si può dire che lavorare allo steso progetto non abbia portato fortuna a entrambe le attrici! Non a caso, le due figlie d’arte (quanto a parenti illustri, infatti, anche Violante, figlia di Michele Placido, non è messa male!) si sono ritrovate sullo stesso set anche quest’anno, protagoniste di “Sleepless”, opera prima di Maddalena De Panfilis, insieme a Pietro Sermonti e Francesco Venditti. ★

“Solo un padre” - Novembre 2008

Tenero e sexy, ci commuoverà

Nei panni di un giovane papà single “allo sbaraglio”, tramortito dalla morte della moglie e completamente assorbito dalle cure alla figlia, in “Solo un padre”, nelle sale dal 28 novembre, Luca Argentero torna più carino (e bravo) che mai


“Era la prima volta che rimanevamo soli, io e te. Io pensavo che non ce l’avrei fatta”. Con questa frase tenerissima, per la fragilità e lo sgomento che sottintende, si apre il trailer ufficiale del nuovo film di Luca Lucini, “Solo un padre”, in uscita il prossimo 28 novembre. Inutile dirvi che, se siete emotivamente permeabili, come chi scrive, in attesa di poter vedere al cinema l’intero lungometraggio, basterà questo primo assaggio per sciogliervi come neve al sole!
La pellicola, tratta dal romanzo di Nick Earls “Perfect skin” (edito in Italia da Sonzogno con il titolo “Le avventure semiserie di un ragazzo padre”), miscelando toni malinconici a uno humour leggero e intelligente (per il quale probabilmente dobbiamo essere grati alle origini irlandesi dello scrittore) narra la storia di Carlo, un dermatologo trentenne, la cui esistenza è governata da una movimentata ma serena routine, fatta del lavoro nel suo studio, di corse al parco, di serate con gli amici di sempre, e dell’imprescindibile appuntamento che ogni sera il giovane medico ha a casa con la sua piccola Sofia, che lui chiama teneramente “fagiolino”. Carlo, infatti, è un padre single: la madre di Sofia è morta di parto e da quando è rimasto vedovo la sua bimba di dieci mesi, che inevitabilmente succhia tutte le sue energie fisiche e mentali, è la sua unica, autentica passione. All’inizio del film, dunque, nel mondo di Carlo - padre sì premuroso, ma anche molto inesperto - non sembra esserci spazio né tantomeno tempo per altro… Sicuramente non per gli improbabili appuntamenti organizzati dagli amici decisi a trovargli una nuova compagna! Insomma, Carlo sembra essere convinto che per ora la sua vita vada bene com’è, ma le sue certezze sono destinate a incrinarsi molto presto: un giorno, infatti, Carlo incontra per caso al parco una giovane ricercatrice francese, Camille, che con la sua solarità e il suo modo incerto ma appassionato di vivere riuscirà a scuoterlo, a riportarlo alla vita, aiutandolo anche a cogliere il significato più profondo dell’essere genitore.
Nei panni di questo - ammettiamolo! - irresistibile vedovo che, care amiche, senz’ombra di dubbio scatenerà in ognuna di noi fin dalle prime inquadrature la più tipica “sindrome della crocerossina”, Lucini ha voluto Luca Argentero: sì, proprio lui, l’ex bellissimo del “Grande Fratello 3”, l’ex carabiniere televisivo, cui ora dovremmo proprio cominciare a pensare più come a un attore di un certo talento - e con un ottimo margine di miglioramento - che come a uno dei tanti “fenomeni” da baraccone mediatico. Perché se è vero che senza passare nella centrifuga del reality - che nel 2003, a soli 25 anni, gli garantì visibilità nazionale - probabilmente il successo, e soprattutto le occasioni per guadagnarselo, non sarebbero arrivati così rapidamente, con le sue innegabili doti estetiche, una buona preparazione culturale e, presumibilmente, anche una certa intelligenza (non che basti aver frequentato l’università per dimostrare di possederla, ma il fatto che prima di tentare la carta dello show business il ragazzo avesse provveduto a mettersi in tasca una Laurea in Economia riteniamo deponga a suo favore) siamo portati a credere che, primo o poi, qualcuno l’avrebbe comunque notato. In ogni caso, dopo l’esperienza nel film di Francesca Comencini “A casa nostra” (2006), dove era uno dei protagonisti insieme a Laura Chiatti, Luca Zingaretti e Valeria Golino, dopo “Saturno contro” (2007) di Ferzan Ozpetek, in cui fra l’altro ha saputo sostenere con una naturalezza esemplare il ruolo del compagno gay del bravissimo Pierfrancesco Favino, dopo “Lezioni di cioccolato” (2007) di Claudio Cupellini, in cui ha sfoderato anche un innegabile talento comico, nei panni del geometra Mattia che si finge un immigrato egiziano per frequentare un corso di pasticceria al posto di uno dei suoi operai infortunatosi in cantiere (con esiti esilaranti!), indipendentemente da come abbia mosso in primi passi nello spettacolo ora Argentero merita di essere considerato, prima di tutto, un buon interprete. ★

"Dottor Clown" - Ottobre 2008

L'importanza di un sorriso

In arrivo su Canale 5, “Dottor Clown”, il nuovo film di Maurizio Nichetti che vede Massimo Ghini in camice bianco, è un omaggio ai medici e alle migliaia di volontari che in tutto il mondo, ogni giorno, diffondono nelle corsie di molti ospedali il benefico influsso dell’allegria

“Ancora una fiction ospedaliera! Alla proposta di girare ‘Dottor Clown’, il mio primo impulso, lo confesso, è stato quello di scappare. Poi un ricordo lontano mi ha fermato...
Non mi ero forse laureato in Architettura con una tesi sul futurismo e le avanguardie artistiche del 900? E non avevo scelto quella tesi proprio dopo la lettura del ‘Controdolore’, manifesto futurista di Aldo Palazzeschi? Uno scritto che, molto prima di Patch Adams, aveva teorizzato di portare i clown in corsia. Una provocazione, certo, ma anche un disperato tentativo per riaffermare il diritto di un malato a vivere anche al di fuori della propria malattia, della logica asettica dei bollettini medici; il diritto a essere considerato una persona prima di una cartella clinica. Un manifesto contro il falso pietismo, la retorica della tristezza, la banalità di lacrime inutili. Mi sono fermato, sono tornato sui miei passi: forse valeva la pena di entrare in un ospedale per raccontarlo non solo attraverso l’ansia di un pronto soccorso, ma anche analizzando i mille piccoli gesti che possono alleviare gli inevitabili disagi umani di una degenza ospedaliera: piccole attenzioni per combattere paure, depressioni e pessimismi che certo non abbreviano i tempi di una guarigione. E l’idea cominciava a piacermi. Girare un film per raccontare dei clown dottori, per parlare di quelle migliaia di persone che dedicano volontariamente il loro tempo a ridurre il disagio di un ricovero ospedaliero cominciava a presentarsi anche come una bella responsabilità! Un argomento molto impegnativo che ho cercato di affrontare con la leggerezza che si può permettere solo chi sa quanta serietà si può nascondere dietro un naso rosso. Ora sono contento d’aver girato ‘Dott Clown’, un film per la televisione che, con le regole di una fiction da prima serata, cercherà di portare in ogni casa un sorriso e una piccola riflessione: non basta curare le malattie, occorre anche occuparsi dei malati!”.–
Così racconta il suo ultimo lavoro Maurizio Nichetti, regista di un film - “Dottor Clown”, prossimamente in onda in prima serata su Canale 5 - che si inserisce nella selva dei “medical drama” di casa nostra distinguendosi da fiction apparentemente analoghe grazie al punto di vista completamente nuovo con cui affronta i temi della malattia e della relazione fra medico e paziente. Il pretesto per introdurre questa “visione alternativa” della Sanità è la parabola di vita del protagonista, il dottor Roberto Laurenti, interpretato da Massimo Ghini. Una sera, infatti, uscendo dal policlinico dove lavora da anni come primario, Laurenti viene investito da un’auto. Ricoverato in stato di incoscienza nel suo stesso ospedale, viene affidato alle cure della caposala Barbara (Angela Finocchiaro), che l’aveva sempre criticato per il suo cinismo e il distacco con cui trattava colleghi e pazienti, e del giovane infermiere Lorenzo (Francesco Venditti). Dopo otto giorni di coma, come ha spiegato lo stesso Ghini, Roberto “si risveglia grazie alla risata di uno di quei medici clown che un tempo trattava a pesci in faccia e si scopre un uomo molto diverso”. Il suo sguardo sul mondo, infatti, è cambiato per sempre: Roberto sperimenta per la prima volta l’attenzione al malato e si impegna con pazienza per recuperare il rapporto con i suoi familiari: l’ex moglie Sara (interpretata dalla bella Serena Autieri), che lo ospita per la convalescenza, il figlioletto Giacomo (Christian Circi) e la suocera Elvira (Simona Marchini). Quando, però, Laurenti stringe amicizia con un gruppo di medici clown e, in particolare, con il loro “capo” Daniele (Fabio Bussotti) - da sempre osteggiato da Argentieri (Franco Trevisi), il ben poco altruista direttore dell’ospedale che vorrebbe cedere un’ala dell’edificio a un imprenditore per realizzare una clinica privata - le cose si complicano. Roberto, infatti, si appassiona alla comicoterapia e progetta di realizzare uno spazio ricreativo per malati nell’ala sulla quale vorrebbe mettere le mani Argentieri. Riesce anche a fermare in extremis la firma del contratto con i privati per l’acquisto del padiglione, ma Argentieri, furibondo, a quel punto lo sospende... ★

“Dottor Clown” non è il primo film a trattare il tema dell’importanza del contatto umano con i pazienti. Anzi, si può dire che a dare il giusto risalto a livello mondiale a questo tipo di approccio al malato sia stata, nel 1998, proprio una pellicola cinematografica - “Patch Adams” - interpretata dall’attore americano Robin Williams. Il film, ispirato all’autobiografia di Hunter Adams (“Patch”, che significa “cerotto”, è il suo soprannome, il “nome d’arte”), non era altro che la versione romanzata della vita di questo medico statunitense generalmente riconosciuto come l’inventore della clownterapia (detta anche comicoterapia o “terapia del sorriso”). Il dottor Adams, 63 anni (nelle due foto qua sotto lo vediamo con e senza naso rosso), nel 1971 fondò il Gesundheit! Institute, un ospedale gratuito aperto tutti i giorni 24 ore su 24 divenuto negli anni un’importante una comunità medica, con il quale ha fornito cure gratuite a migliaia di pazienti. Ogni anno, inoltre, organizza un gruppo di volontari che viaggiano in vari paesi del mondo - persino i più pericolosi e tartassati, come l’Afghanistan - per portare un po’ di gioia e di speranza agli orfani, ai malati e alla popolazione nel suo insieme. Naturalmente, sono sempre tutti rigorosamente vestiti da clown!
Perr chi volesse saperne di più: www.patchadams.org

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