La morte di Paul Newman - Ottobre 2008
Addio, dolcissimo spaccone
Non sarà la morte a farlo entrare nella leggenda. Perché Paul Newman, “gli occhi più belli della storia del cinema”, esempio ineguagliabile di talento e fascino perfettamente dosati, “leggendario” lo era da tempo. Ad alimentarne il mito, non solo indimenticabili interpretazioni, ma anche una vita lontana dagli scandali, un grande amore e tanta, tanta beneficenza
Alla fine ha vinto lui, il cancro ai polmoni contro il quale lottava da tempo. Lo scorso 26 settembre, all’età di 83 anni, Paul Newman si è spento senza clamore a casa sua, nel suo letto, con la stessa discrezione con cui, a dispetto di un successo planetario e di schiere di donne d’ogni età che per mezzo secolo si sono smarrite nei suoi leggendari occhi blu, ha caparbiamente protetto la sua vita privata e il suo desiderio di un’esistenza “normale”, fatta di intimità, famiglia, hobby e passioni da coltivare. Perché Paul Newman - autentico Apollo dell’Olimpo holliwodiano, più bello dei coetanei James Dean e Marlon Brando, ma decisamente meno “maledetto” - fin dall’inizio della carriera ha sempre mostrato un certa insofferenza per la sua straordinaria avvenenza e per quegli incredibili “fanali” color cielo capaci di bucare lo schermo e trafiggere cuori persino nelle prime pellicole in bianco e nero. E proprio per il disagio che provava nel sentirsi concupito, “divorato con gli occhi”, ha sempre fatto in modo di sottrarsi alla curiosità dei fan, arrivando a nascondere sistematicamente quel suo sguardo magnetico dietro grandi lenti scure e, qualche volta, indossando addirittura baffi e barbe posticce per essere sicuro di non essere importunato.
Forse è per questo che, caso più unico che raro a Hollywood (e, a ben guardare, piuttosto insolito anche fra i comuni mortali), per cinquant’anni è riuscito a scansare tutte le trappole della celebrità rimanendo orgogliosamente fedele a un’unica donna, Joanne Woodward - sposata nel 1958 e per la quale aveva lasciato la prima moglie Jackie Witte, madre di Scott, Susan e Stephanie Newman -, da cui ha avuto le tre figlie Elinor, Melissa e Claire. Con lei, la donna della sua vita, ha condiviso tutto: il mestiere (anche la Woodward è stata una grandissima attrice, partner del marito in diverse pellicole e protagonista di tre dei cinque film di cui è stato regista), l’attaccamento alla famiglia e l’impegno civile e sociale, portato avanti grazie a numerosissime e variegate iniziative di beneficenza, inaugurate nel 1980 con l’apertura dello Scott Newman Centre, un centro per lo studio della prevenzione della dipendenza dalla droga creato in memoria del figlio maggiore Scott (morto nel 1978 per overdose), e proseguite dal 1982 con la creazione della “Newman’s Own”, una linea di prodotti alimentari ideata proprio per finanziare opere di bene. ★
Non sarà la morte a farlo entrare nella leggenda. Perché Paul Newman, “gli occhi più belli della storia del cinema”, esempio ineguagliabile di talento e fascino perfettamente dosati, “leggendario” lo era da tempo. Ad alimentarne il mito, non solo indimenticabili interpretazioni, ma anche una vita lontana dagli scandali, un grande amore e tanta, tanta beneficenza
Alla fine ha vinto lui, il cancro ai polmoni contro il quale lottava da tempo. Lo scorso 26 settembre, all’età di 83 anni, Paul Newman si è spento senza clamore a casa sua, nel suo letto, con la stessa discrezione con cui, a dispetto di un successo planetario e di schiere di donne d’ogni età che per mezzo secolo si sono smarrite nei suoi leggendari occhi blu, ha caparbiamente protetto la sua vita privata e il suo desiderio di un’esistenza “normale”, fatta di intimità, famiglia, hobby e passioni da coltivare. Perché Paul Newman - autentico Apollo dell’Olimpo holliwodiano, più bello dei coetanei James Dean e Marlon Brando, ma decisamente meno “maledetto” - fin dall’inizio della carriera ha sempre mostrato un certa insofferenza per la sua straordinaria avvenenza e per quegli incredibili “fanali” color cielo capaci di bucare lo schermo e trafiggere cuori persino nelle prime pellicole in bianco e nero. E proprio per il disagio che provava nel sentirsi concupito, “divorato con gli occhi”, ha sempre fatto in modo di sottrarsi alla curiosità dei fan, arrivando a nascondere sistematicamente quel suo sguardo magnetico dietro grandi lenti scure e, qualche volta, indossando addirittura baffi e barbe posticce per essere sicuro di non essere importunato.
Forse è per questo che, caso più unico che raro a Hollywood (e, a ben guardare, piuttosto insolito anche fra i comuni mortali), per cinquant’anni è riuscito a scansare tutte le trappole della celebrità rimanendo orgogliosamente fedele a un’unica donna, Joanne Woodward - sposata nel 1958 e per la quale aveva lasciato la prima moglie Jackie Witte, madre di Scott, Susan e Stephanie Newman -, da cui ha avuto le tre figlie Elinor, Melissa e Claire. Con lei, la donna della sua vita, ha condiviso tutto: il mestiere (anche la Woodward è stata una grandissima attrice, partner del marito in diverse pellicole e protagonista di tre dei cinque film di cui è stato regista), l’attaccamento alla famiglia e l’impegno civile e sociale, portato avanti grazie a numerosissime e variegate iniziative di beneficenza, inaugurate nel 1980 con l’apertura dello Scott Newman Centre, un centro per lo studio della prevenzione della dipendenza dalla droga creato in memoria del figlio maggiore Scott (morto nel 1978 per overdose), e proseguite dal 1982 con la creazione della “Newman’s Own”, una linea di prodotti alimentari ideata proprio per finanziare opere di bene. ★
“Vicky Cristina Barcellona” - Ottobre 2008
Irresistibile triangolo
“Vicky Cristina barcellona”, in uscita il 17 ottobre, è la nuova commedia, ironica e amara iniseme, di Woody Allen. Per lui, tre star mondiali - Scarlett Johansson, Penélope Cruz e Javier Bardem - hanno intrecciato una relazione sexy e spregiudicata...
Woody Allen torna a parlare d’amore e lo fa con una riflessione profonda, divertente ma a tratti anche amara, sulle relazioni sentimentali in ogni loro forma: romantica, violenta, buffa, inafferrabile. Per riuscirci, architetta uno straordinario, sexissimo triangolo fra stelle di prima grandezza: la bionda americana Scarlett Johansson, musa ispiratrice dei suoi ultimi film, la bruna spagnola Penélope Cruz, icona di Pedro Almodvar ma sdoganata anche a Hollywood ormai da anni grazie a diverse pellicole a stelle strisce e quasi altrettante relazioni yankee (Tom Cruis, Matthew McConaughey...), e il machissimo Javier Bardem, spagnolo anch’egli e anch’egli ormai accreditato nel firmamento del cinema internazionale dopo aver vinto per ben due volte la Coppa Volpi a Venezia per la migliore interpretazione maschile ed essersi portanto a casa quest’anno l’Oscar al miglior attore non protagonista per la sua performance in “Non è un paese per vecchi” dei fratelli Coen.
Un uomo, due donne.
Il titolo sintetizza magistralmente i “fatti” di partenza: Vicky (Rebecca Hall) e Cristina (Scarlett Johansson), due ragazze americane molto amiche ma molto diverse caratterialmente, sono in vacanza a Barcellona, dove dei lontani parenti della prima le hanno invitate a trascorrere l’estate. Vicky, posata e “tutta d’un pezzo”, è fidanzata con un bravissimo ragazzo e non intende cercare distrazioni sentimentali... Cristina, invece, più sbandata e sentimentalmente incostante - oltre che molto più disinibita! - non nasconde di essere disponibile a nuove avventure erotiche. Una sera, le due ragazze conoscono Juan Antonio (Javier Bardem), un fascinoso pittore che le invita a seguirlo per il fine settimana a Oviedo per visitare i dintorni, bere ottimo vino e... fare l’amore tutti insieme! Vicky, scandalizzata, rifiuta categoricamente la proposta, ma alla fine accetta almeno di accompagnare nella “gita” l’amica, che non vede l’ora di passare qualche ora di passione con il bel Juan. Peccato che, dopo una piacevole prima giornata trascorsa a fare le turiste e un’ottima cena durante la quale il pittore racconta alle ragazze di Maria Elena (Penélope Cruz), la sua ex moglie - con cui aveva una relazione talmente infuocata da impedir loro di vivere insieme (per gelosia, lei ha addirittura tentato di ucciderlo!) -, proprio quando stava per finire a letto con Juan Antonio, Cristina comincia a sentirsi poco bene e finisce per lasciare che Vicky trascorra il resto del fine settimana da sola con l’uomo. In quelle poche ore, confidandole i suoi sogni di bambino e i particolari della sua storia con Maria Elena, Juan fa breccia nel cuore della ragazza: tanto che alla fine è proprio lei, quella fidanzata, a fare l’amore con lui prima di rientrare in città. Tornati a Barcellona, però, Juan riprende la sua storia con Cristina da dove l’aveva lasciata, spiegando all’addolorata Vicky che, dovendosi sposare, è meglio che lei non pensi più a lui. Se non che, dopo ossersi precipitato una notte in ospedale al capezzale di Maria Elena, che ha tentato il suicidio, Juan Antonio si ripresenta a casa in compagnia dell’ex moglie, annunciando all’incredula Cristina, che nel frattempo si è trasferita da lui, che per qualche mese la donna vivrà con loro! All’inizio, la convivenza del terzetto non è semplicissima: la spagnola fa di tutto per prendersela con la bionda rivale. Ma poi, pian piano, le cose cambiano e fra le due donne l’intimità cresce a tal punto da trasformarle in amanti e spingerle a dividersi equamente le attenzioni del “loro” uomo (niente di strano, dunque, se all’ultimo Festival di Cannes la scena del bacio fra queste due attrici sensazionali ha fatto così tanto discutere...). ★
“Vicky Cristina barcellona”, in uscita il 17 ottobre, è la nuova commedia, ironica e amara iniseme, di Woody Allen. Per lui, tre star mondiali - Scarlett Johansson, Penélope Cruz e Javier Bardem - hanno intrecciato una relazione sexy e spregiudicata...
Woody Allen torna a parlare d’amore e lo fa con una riflessione profonda, divertente ma a tratti anche amara, sulle relazioni sentimentali in ogni loro forma: romantica, violenta, buffa, inafferrabile. Per riuscirci, architetta uno straordinario, sexissimo triangolo fra stelle di prima grandezza: la bionda americana Scarlett Johansson, musa ispiratrice dei suoi ultimi film, la bruna spagnola Penélope Cruz, icona di Pedro Almodvar ma sdoganata anche a Hollywood ormai da anni grazie a diverse pellicole a stelle strisce e quasi altrettante relazioni yankee (Tom Cruis, Matthew McConaughey...), e il machissimo Javier Bardem, spagnolo anch’egli e anch’egli ormai accreditato nel firmamento del cinema internazionale dopo aver vinto per ben due volte la Coppa Volpi a Venezia per la migliore interpretazione maschile ed essersi portanto a casa quest’anno l’Oscar al miglior attore non protagonista per la sua performance in “Non è un paese per vecchi” dei fratelli Coen.
Un uomo, due donne.
Il titolo sintetizza magistralmente i “fatti” di partenza: Vicky (Rebecca Hall) e Cristina (Scarlett Johansson), due ragazze americane molto amiche ma molto diverse caratterialmente, sono in vacanza a Barcellona, dove dei lontani parenti della prima le hanno invitate a trascorrere l’estate. Vicky, posata e “tutta d’un pezzo”, è fidanzata con un bravissimo ragazzo e non intende cercare distrazioni sentimentali... Cristina, invece, più sbandata e sentimentalmente incostante - oltre che molto più disinibita! - non nasconde di essere disponibile a nuove avventure erotiche. Una sera, le due ragazze conoscono Juan Antonio (Javier Bardem), un fascinoso pittore che le invita a seguirlo per il fine settimana a Oviedo per visitare i dintorni, bere ottimo vino e... fare l’amore tutti insieme! Vicky, scandalizzata, rifiuta categoricamente la proposta, ma alla fine accetta almeno di accompagnare nella “gita” l’amica, che non vede l’ora di passare qualche ora di passione con il bel Juan. Peccato che, dopo una piacevole prima giornata trascorsa a fare le turiste e un’ottima cena durante la quale il pittore racconta alle ragazze di Maria Elena (Penélope Cruz), la sua ex moglie - con cui aveva una relazione talmente infuocata da impedir loro di vivere insieme (per gelosia, lei ha addirittura tentato di ucciderlo!) -, proprio quando stava per finire a letto con Juan Antonio, Cristina comincia a sentirsi poco bene e finisce per lasciare che Vicky trascorra il resto del fine settimana da sola con l’uomo. In quelle poche ore, confidandole i suoi sogni di bambino e i particolari della sua storia con Maria Elena, Juan fa breccia nel cuore della ragazza: tanto che alla fine è proprio lei, quella fidanzata, a fare l’amore con lui prima di rientrare in città. Tornati a Barcellona, però, Juan riprende la sua storia con Cristina da dove l’aveva lasciata, spiegando all’addolorata Vicky che, dovendosi sposare, è meglio che lei non pensi più a lui. Se non che, dopo ossersi precipitato una notte in ospedale al capezzale di Maria Elena, che ha tentato il suicidio, Juan Antonio si ripresenta a casa in compagnia dell’ex moglie, annunciando all’incredula Cristina, che nel frattempo si è trasferita da lui, che per qualche mese la donna vivrà con loro! All’inizio, la convivenza del terzetto non è semplicissima: la spagnola fa di tutto per prendersela con la bionda rivale. Ma poi, pian piano, le cose cambiano e fra le due donne l’intimità cresce a tal punto da trasformarle in amanti e spingerle a dividersi equamente le attenzioni del “loro” uomo (niente di strano, dunque, se all’ultimo Festival di Cannes la scena del bacio fra queste due attrici sensazionali ha fatto così tanto discutere...). ★
Intervista a Elisabetta Rocchetti - Ottobre 2008
Fra donne... è più facile
Protagonista in “Terapia d’urgenza” della prima storia d’amore tutta al femminile raccontata da una fiction italiana, Elisabetta Rocchetti ha capito molte cose...
L’avevamo già incontrata quest’estate, in occasione della presentazione del nuovo medical drama di Rai Due: Elisabetta Rocchetti, infatti, interpreta uno dei personaggi principali di “Terapia d’urgenza”. Proprio nei panni dell’infermiera Esther, che si innamora, riamata, della pediatra Marina Ranieri Del Colle (Alessia Barela), l’attrice romana è la protagonista della prima relazione amorosa fra due donne raccontata in una fiction. Nella puntata che andrà in onda venerdì 17 assisteremo alla scena clou della loro nascente storia d’amore: il primo bacio.
Com’è stato girare quella scena? Eri in imbarazzo?
“Nessun imbarazzo. È venuta in modo naturale: dopo molti giorni di set trascorsi interpretando una donna innamorata di un’altra donna, con Alessia Barela si è creata un’intesa e ho tirato fuori una parte di me che sentiva per lei un reale trasporto. Inoltre, di questa scena ne parlavano un po’ tutti già da tempo, quindi mi ero preparata psicologicamente. E poi, quando l’abbiamo girata, avevano anche blindato il set: c’eravamo solo io, lei e l’operatore, anche se secondo me non era necessario”.
L’omosessualità del tuo personaggio ti ha lasciato qualcosa?
“Grazie a lei ho scavato molto dentro di me e credo di aver capito perché alcune donne, a un certo punto della loro vita, si innamorano di altre donne. Quando una donna adulta diventa lesbica è perché gli uomini l’hanno troppo delusa, perché è rimasta troppo scottata, ferita e in un’altra donna trova quella pace, quella base comune che un compagno non le può dare.
Sei mai stata corteggiata da una donna?
“Da ‘grande’ no, ma quando ero ragazzina è capitato che mi trovassi in confidenza con donne particolarmente dolci e carine nei miei riguardi, ma all’epoca non capivo, non mi rendevo conto dell’interesse che provavano per me. E poi le donne sono sempre molto discrete in questo...”.
Le relazioni fra persone dello stesso sesso sono più difficili o l’amore è sempre complicato?
“Gli omosessuali, uomini e donne, se la passano peggio, perché devono vedersela con un sacco di impedimenti, a cominciare dai pregiudizi della gente. Molte coppie gay non riescono nemmeno a vivere alla luce del sole il loro amore”.
Quindi essere eterosessuale è una fortuna...
“A dire il vero, penso che sarei stata più ‘fortunata’ a essere lesbica! Credo che avrei vissuto storie d’amore molto più serene di quelle che ho avuto con gli uomini. In linea di massima, penso che una donna “etero” possa dirsi fortunata se trova un amore vero, solido, e se questo sfocia nella maternità, ma se rimane sola... allora sarebbe stato decisamente meglio per lei essere gay! Sarebbe meno triste...”.
Ormai “Terapia d’urgenza” va in onda da un mese e mezzo: che tipo di impatto pensi abbia avuto sul pubblico e come è stato accolto il tuo personaggio?
“Le mie sensazioni sono positive: mi fanno tutti i complimenti. Gli ascolti, purtroppo, sono quelli standard di Rai Due e per ora ‘Terapia’ non è andata meglio di altre serie tv trasmesse dalla stessa rete. Ora, però, anche grazie alla storia di Esther e Marina, spero che lo share possa crescere in fretta!”
Tu ti guardi in tv?
“Ultimamente sì. Anche perché sono curiosa di vedere il lavoro dei miei colleghi. Sai, per le riprese ho vissuto un anno a Milano, lavorando con quelle persone ogni giorno... Ma è un caso particolare, perché di solito non guardo mai le mie cose”.
Nei panni di Esther ti piaci?
“A volte, altre no. Dipende. In certi casi penso avrei potuto far meglio una scena. Magari mi ricordo di averla interpretata un po’ meccanicamente - anche se gli altri non se ne sono accorti - e mi dispiace, mi fa rabbia ripensarci. E poi non sopporto quando salta fuori il mio accento romano! In ogni caso, al di là della qualità della recitazione, spero che la mia interpretazione abbia anche qualche valore sociale, che serva a mettere in evidenza le difficoltà delle donne gay. Spero, insomma, di essere stata degna di rappresentarle e di aver reso bene i loro conflitti, i loro disagi nella società”.
Milano ti manca?
“Ni. Nel senso che mi manca quel tipo di vita, l’ordine, il lavoro quotidiano, l’impegno. Anche il fatto di frequentare i miei colleghi con continuità, sempre le stesse persone... Mi manca la vita che facevo, il ritmo che aveva”.
Ora che sei di nuovo a Roma a cosa stai lavorando?
In questo momento, in attesa di sapere se si farà la seconda serie di ‘Terapia d’urgenza’ (dipenderà anche dagli ascolti), prima di tornare eventualmente a girare a Milano sto cercando di capire se sarà possibile realizzare un film che ho scritto e di cui vorrei fare la regia. Ma per ora è ancora tutto in sospeso”. ★
Protagonista in “Terapia d’urgenza” della prima storia d’amore tutta al femminile raccontata da una fiction italiana, Elisabetta Rocchetti ha capito molte cose...
L’avevamo già incontrata quest’estate, in occasione della presentazione del nuovo medical drama di Rai Due: Elisabetta Rocchetti, infatti, interpreta uno dei personaggi principali di “Terapia d’urgenza”. Proprio nei panni dell’infermiera Esther, che si innamora, riamata, della pediatra Marina Ranieri Del Colle (Alessia Barela), l’attrice romana è la protagonista della prima relazione amorosa fra due donne raccontata in una fiction. Nella puntata che andrà in onda venerdì 17 assisteremo alla scena clou della loro nascente storia d’amore: il primo bacio.
Com’è stato girare quella scena? Eri in imbarazzo?
“Nessun imbarazzo. È venuta in modo naturale: dopo molti giorni di set trascorsi interpretando una donna innamorata di un’altra donna, con Alessia Barela si è creata un’intesa e ho tirato fuori una parte di me che sentiva per lei un reale trasporto. Inoltre, di questa scena ne parlavano un po’ tutti già da tempo, quindi mi ero preparata psicologicamente. E poi, quando l’abbiamo girata, avevano anche blindato il set: c’eravamo solo io, lei e l’operatore, anche se secondo me non era necessario”.
L’omosessualità del tuo personaggio ti ha lasciato qualcosa?
“Grazie a lei ho scavato molto dentro di me e credo di aver capito perché alcune donne, a un certo punto della loro vita, si innamorano di altre donne. Quando una donna adulta diventa lesbica è perché gli uomini l’hanno troppo delusa, perché è rimasta troppo scottata, ferita e in un’altra donna trova quella pace, quella base comune che un compagno non le può dare.
Sei mai stata corteggiata da una donna?
“Da ‘grande’ no, ma quando ero ragazzina è capitato che mi trovassi in confidenza con donne particolarmente dolci e carine nei miei riguardi, ma all’epoca non capivo, non mi rendevo conto dell’interesse che provavano per me. E poi le donne sono sempre molto discrete in questo...”.
Le relazioni fra persone dello stesso sesso sono più difficili o l’amore è sempre complicato?
“Gli omosessuali, uomini e donne, se la passano peggio, perché devono vedersela con un sacco di impedimenti, a cominciare dai pregiudizi della gente. Molte coppie gay non riescono nemmeno a vivere alla luce del sole il loro amore”.
Quindi essere eterosessuale è una fortuna...
“A dire il vero, penso che sarei stata più ‘fortunata’ a essere lesbica! Credo che avrei vissuto storie d’amore molto più serene di quelle che ho avuto con gli uomini. In linea di massima, penso che una donna “etero” possa dirsi fortunata se trova un amore vero, solido, e se questo sfocia nella maternità, ma se rimane sola... allora sarebbe stato decisamente meglio per lei essere gay! Sarebbe meno triste...”.
Ormai “Terapia d’urgenza” va in onda da un mese e mezzo: che tipo di impatto pensi abbia avuto sul pubblico e come è stato accolto il tuo personaggio?
“Le mie sensazioni sono positive: mi fanno tutti i complimenti. Gli ascolti, purtroppo, sono quelli standard di Rai Due e per ora ‘Terapia’ non è andata meglio di altre serie tv trasmesse dalla stessa rete. Ora, però, anche grazie alla storia di Esther e Marina, spero che lo share possa crescere in fretta!”
Tu ti guardi in tv?
“Ultimamente sì. Anche perché sono curiosa di vedere il lavoro dei miei colleghi. Sai, per le riprese ho vissuto un anno a Milano, lavorando con quelle persone ogni giorno... Ma è un caso particolare, perché di solito non guardo mai le mie cose”.
Nei panni di Esther ti piaci?
“A volte, altre no. Dipende. In certi casi penso avrei potuto far meglio una scena. Magari mi ricordo di averla interpretata un po’ meccanicamente - anche se gli altri non se ne sono accorti - e mi dispiace, mi fa rabbia ripensarci. E poi non sopporto quando salta fuori il mio accento romano! In ogni caso, al di là della qualità della recitazione, spero che la mia interpretazione abbia anche qualche valore sociale, che serva a mettere in evidenza le difficoltà delle donne gay. Spero, insomma, di essere stata degna di rappresentarle e di aver reso bene i loro conflitti, i loro disagi nella società”.
Milano ti manca?
“Ni. Nel senso che mi manca quel tipo di vita, l’ordine, il lavoro quotidiano, l’impegno. Anche il fatto di frequentare i miei colleghi con continuità, sempre le stesse persone... Mi manca la vita che facevo, il ritmo che aveva”.
Ora che sei di nuovo a Roma a cosa stai lavorando?
In questo momento, in attesa di sapere se si farà la seconda serie di ‘Terapia d’urgenza’ (dipenderà anche dagli ascolti), prima di tornare eventualmente a girare a Milano sto cercando di capire se sarà possibile realizzare un film che ho scritto e di cui vorrei fare la regia. Ma per ora è ancora tutto in sospeso”. ★
Massimiliano Ossini in “Sei più bravo di un ragazzino di 5a?” - Ottobre 2008
Pronti a tornare a scuola?
Da lunedì 6 ottobre, Massimiliano Ossini conduce “Sei più bravo di un ragazzino di 5a?”, il primo quiz che sfida adulti apparentemente brillanti a dimostrarsi all’altezza dei bambini delle elementari
Lo sapete perché si dice che parole come “nozze”, “ferie” e “pazienza” sono “difettive”? E il trapassato remoto della prima persona plurale del verbo “reggere” sapreste dire qual è? No, probabilmente non lo sapete o, quanto meno, non ve lo ricordate… A meno che non abbiate dieci anni e stiate frequentando con successo la quinta elementare!
Ammettiamolo, chiunque di noi abbia figli in età scolare o si sia trovato, per qualche altro motivo, a “dare una mano” con i compiti a qualche bimbo delle elementari, ha già avuto modo di sperimentare a sue spese quanto sia facile far brutta figura! Siamo dunque tutti profondamente ignoranti? No, non necessariamente. Il fatto è che nella vita di tutti i giorni gran parte delle nozioni che noi stessi, probabilmente, qualche decennio fa avevamo perfettamente presenti, ha scarse possibilità di essere rispolverata. Ecco perché, spesso, un quesito cui un diligente scolaretto di dieci anni saprebbe dare facilmente risposta può mandarci in completa confusione. Il fatto che accada è innegabilmente umiliante, ma anche molto divertente per chi si gode la scena “dall’esterno”. Ed è proprio su questo che si fonda la fortunata formula di “Sei più bravo di un ragazzino di 5a?”, il nuovissimo gioco a quiz in onda su SKY Vivo dallo scorso 6 ottobre tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, alle 18.00.
La trasmissione non è altro che la versione italiana di un format di straordinario successo (il cui titolo originale è “Are you smarter than a 5th grader?”) che, dopo il fortunatissimo esordio negli Stati Uniti, nel febbraio dello scorso anno, si è diffuso a macchia d’olio in mezzo mondo: in Argentina (“Sabés más que un chico de 5to grado?”), in Brasile (“Você è mais esperto que um aluno da quinta série?”), in Spagna (“Sabés más que un niño de primaria?”), in Francia (“Êtes vou plus fort qu’un élève de 10 ans?”) e… in una quarantina di altre nazioni! A farlo funzionare alla grande anche sui nostri schermi (o forse sarebbe meglio dire “alla piccola”, visto che in questo caso a uscirne vincenti, sempre e comunque, sono i più giovani…) ci penserà il team di autori d’esperienza capitanati da Alvise Borghi, “re” dei quiz televisivi di casa nostra (da “Passaparola” a “Il milionario”, passando per “La ruota della fortuna”…).
Per aggiudicarsi il montepremi di 50.000 euro, i concorrenti adulti devono cercare di rispondere a dieci domande rigorosamente riguardanti materie che si studiano alle elementari. In studio, per soccorrere i “grandi” in difficoltà ci sono sempre cinque bambini, pronti a suggerire ai malcapitati la risposta corretta. Ogni concorrente, infatti, può scegliere fra loro il proprio partner di gioco e ricorrere a lui per un massimo di tre “aiuti”, chiamati “sbircia”, “copia” e “salva”. Quando viene letto l’ultimo quesito, l’adulto può scegliere di tentare la risposta oppure ritirarsi. Se sbaglia, però, il severissimo regolamento del gioco lo obbliga ad ammettere pubblicamente: “Io non sono più bravo di un ragazzino di quinta!”. E da quanto ne sappiamo… possiamo anticiparvi che nelle prossime settimane a dover fare questa pubblica ammissione sarà un piccolo esercito di manager, direttori di banca e illustri professionisti dei rami più svariati!
A condurre questa sfida singolare è stato chiamato Massimiliano Ossini, soprannominato dalla troupe del programma “il perfido professor Ossini” per l’imperturbabilità con la quale ha trattato tutti gli stimati professionisti “umiliati” durante la registrazione delle prime 70 puntate dello show (“Molti sono andati nel pallone con domande facilissime!”, ha raccontato), ma sinceramente entusiasta dei suoi giovani collaboratori: “I bambini - ha detto - riescono a diventare protagonisti mettendoti in imbarazzo con una sola battuta. Insieme a loro è facile inscenare gag senza bisogno di un copione”.
La materia più difficile? Il conduttore non ha dubbi: “L’italiano è l’argomento che ha messo in crisi tutti!”. A proposito: le parole “difettive” sono quelle che esistono solo al plurale oppure solo al singolare, mentre l’ostico trapassato remoto della prima persona plurale del verbo “reggere” è “avemmo retto”! ★
Di bambini me ne intendo!
Non si può certo dire che Massimiliano Ossini, 29 anni, non abbia esperienza con i bambini! Il conduttore, infatti, ha esordito nel 2001 su Disney Channel, dove ha presentato una serie di programmi per ragazzi: “Live Zone”, “Scooter” e “Prime time”. Nel 2003 ha condotto su Rai Due “Disney Club” e nel 2005, sulla stessa rete, si è occupato dei servizi in esterna di “Random”, un vero e proprio magazine per i più piccoli. Inoltre, nonostante la giovane età, Massimiliano ha già tre figli: Melissa, di quattro anni, Carlotta, di tre, e il piccolissimo Giovanni, nato lo scorso 15 settembre.
Da lunedì 6 ottobre, Massimiliano Ossini conduce “Sei più bravo di un ragazzino di 5a?”, il primo quiz che sfida adulti apparentemente brillanti a dimostrarsi all’altezza dei bambini delle elementari
Lo sapete perché si dice che parole come “nozze”, “ferie” e “pazienza” sono “difettive”? E il trapassato remoto della prima persona plurale del verbo “reggere” sapreste dire qual è? No, probabilmente non lo sapete o, quanto meno, non ve lo ricordate… A meno che non abbiate dieci anni e stiate frequentando con successo la quinta elementare!
Ammettiamolo, chiunque di noi abbia figli in età scolare o si sia trovato, per qualche altro motivo, a “dare una mano” con i compiti a qualche bimbo delle elementari, ha già avuto modo di sperimentare a sue spese quanto sia facile far brutta figura! Siamo dunque tutti profondamente ignoranti? No, non necessariamente. Il fatto è che nella vita di tutti i giorni gran parte delle nozioni che noi stessi, probabilmente, qualche decennio fa avevamo perfettamente presenti, ha scarse possibilità di essere rispolverata. Ecco perché, spesso, un quesito cui un diligente scolaretto di dieci anni saprebbe dare facilmente risposta può mandarci in completa confusione. Il fatto che accada è innegabilmente umiliante, ma anche molto divertente per chi si gode la scena “dall’esterno”. Ed è proprio su questo che si fonda la fortunata formula di “Sei più bravo di un ragazzino di 5a?”, il nuovissimo gioco a quiz in onda su SKY Vivo dallo scorso 6 ottobre tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, alle 18.00.
La trasmissione non è altro che la versione italiana di un format di straordinario successo (il cui titolo originale è “Are you smarter than a 5th grader?”) che, dopo il fortunatissimo esordio negli Stati Uniti, nel febbraio dello scorso anno, si è diffuso a macchia d’olio in mezzo mondo: in Argentina (“Sabés más que un chico de 5to grado?”), in Brasile (“Você è mais esperto que um aluno da quinta série?”), in Spagna (“Sabés más que un niño de primaria?”), in Francia (“Êtes vou plus fort qu’un élève de 10 ans?”) e… in una quarantina di altre nazioni! A farlo funzionare alla grande anche sui nostri schermi (o forse sarebbe meglio dire “alla piccola”, visto che in questo caso a uscirne vincenti, sempre e comunque, sono i più giovani…) ci penserà il team di autori d’esperienza capitanati da Alvise Borghi, “re” dei quiz televisivi di casa nostra (da “Passaparola” a “Il milionario”, passando per “La ruota della fortuna”…).
Per aggiudicarsi il montepremi di 50.000 euro, i concorrenti adulti devono cercare di rispondere a dieci domande rigorosamente riguardanti materie che si studiano alle elementari. In studio, per soccorrere i “grandi” in difficoltà ci sono sempre cinque bambini, pronti a suggerire ai malcapitati la risposta corretta. Ogni concorrente, infatti, può scegliere fra loro il proprio partner di gioco e ricorrere a lui per un massimo di tre “aiuti”, chiamati “sbircia”, “copia” e “salva”. Quando viene letto l’ultimo quesito, l’adulto può scegliere di tentare la risposta oppure ritirarsi. Se sbaglia, però, il severissimo regolamento del gioco lo obbliga ad ammettere pubblicamente: “Io non sono più bravo di un ragazzino di quinta!”. E da quanto ne sappiamo… possiamo anticiparvi che nelle prossime settimane a dover fare questa pubblica ammissione sarà un piccolo esercito di manager, direttori di banca e illustri professionisti dei rami più svariati!
A condurre questa sfida singolare è stato chiamato Massimiliano Ossini, soprannominato dalla troupe del programma “il perfido professor Ossini” per l’imperturbabilità con la quale ha trattato tutti gli stimati professionisti “umiliati” durante la registrazione delle prime 70 puntate dello show (“Molti sono andati nel pallone con domande facilissime!”, ha raccontato), ma sinceramente entusiasta dei suoi giovani collaboratori: “I bambini - ha detto - riescono a diventare protagonisti mettendoti in imbarazzo con una sola battuta. Insieme a loro è facile inscenare gag senza bisogno di un copione”.
La materia più difficile? Il conduttore non ha dubbi: “L’italiano è l’argomento che ha messo in crisi tutti!”. A proposito: le parole “difettive” sono quelle che esistono solo al plurale oppure solo al singolare, mentre l’ostico trapassato remoto della prima persona plurale del verbo “reggere” è “avemmo retto”! ★
Di bambini me ne intendo!
Non si può certo dire che Massimiliano Ossini, 29 anni, non abbia esperienza con i bambini! Il conduttore, infatti, ha esordito nel 2001 su Disney Channel, dove ha presentato una serie di programmi per ragazzi: “Live Zone”, “Scooter” e “Prime time”. Nel 2003 ha condotto su Rai Due “Disney Club” e nel 2005, sulla stessa rete, si è occupato dei servizi in esterna di “Random”, un vero e proprio magazine per i più piccoli. Inoltre, nonostante la giovane età, Massimiliano ha già tre figli: Melissa, di quattro anni, Carlotta, di tre, e il piccolissimo Giovanni, nato lo scorso 15 settembre.
"S.O.S Tata", la quarta stagione - ottobre 2008
Piccole pesti? Grandi tate!
Per la gioia di molti “genitori disperati”, quotidianamente alle prese con “piccoli tiranni” apparentemente indomabili, da venerdì 3 ottobre su FOX Life è tornata l’eccezionale squadra di educatrici “televisive” di “S.O.S Tata”
A metà strada fra “reality” e “tv di servizio”, il 3 ottobre è cominciata la quarta stagione di “S.O.S. Tata”, programma che fin dal suo esordio, nell’autunno del 2005, grazie suo team di “educatrici catodiche” inviate in tutta Italia in soccorso di “famiglie sull’orlo di una crisi di nervi”, ha illuminato milioni di genitori disperati, fornendo loro semplici ma utili precetti in grado, il più delle volte, se non di risolvere almeno di migliorare il rapporto con i loro bambini e, soprattutto, la loro educazione! Fra le novità della nuova stagione - per la quale, quando sono state selezionate le famiglie presso le quali inviare le tate, si è scelto di dare largo spazio anche a realtà “meno tradizionali”, come genitori single e nuclei famigliari “allargati”, in modo da prendere in esame situazioni sempre più comuni anche nel nostro Paese - c’è l’arrivo di Tata Adriana, che ha preso il posto occupato nella scorsa edizione da Tata Renata. Di origine uruguayana ma di formazione statunitense, ormai Adriana è esperta anche di bambini nostrani, visto che per amore del marito italiano vive qui da 15 anni, e proprio per la sua storia personale si è resa conto che alcune problematiche variano da paese a paese. Negli Stati Uniti, per esempio, le case sono più spaziose e spesso hanno un giardino dove i bambini possono sfogare le loro energie; mentre “in Italia - fa notare Adriana - i genitori sono costretti a ritagliarsi almeno due ore al giorno per portare fuori i figli e questo può essere un’ulteriore fonte di sttess”.
La “cura” dura una settimana
Ormai quasi tutti conoscono il semplice meccanismo dello show, visto che le passate edizioni sono state trasmesse anche in chiaro da La7; ma per chi ancora non lo avesse presente, lo riassumiamo brevemente. Ogni puntata documenta fedelmente la missione di una delle tre tate presso una famiglia con figli di età compresa fra i 2 e i 12 anni, concentrando con grande capacità di sintesi in soli 50 minuti decine di ore di filmati. Dopo una breve riunione, durante la quale le tate decidono chi di loro sia più adatta ad affrontare i probemi di quel determinato nucleo famigliare, la prescelta si trasferisce per una settimana presso la famiglia. Di solito, nei primi due giorni la tata si tiene in disparte, osservando attentamente il comportamento di genitori e figli e prendendo diligentemente appunti, mentre nei giorni successivi interviene con decisione, parlando a lungo con tutti, dettando nuove regole ed elargendo saggi consigli con i quali rivoluziona la loro vita, riportando finalmente la pace in casa. ★
IL DECALOGO DELLE TATE:
1 Stabilire le regole e farle rispettare
2 Rispettarsi reciprocamente
3 Programmare i tempi della giornata
4 Rispettare i propri spazi e quelli degli altri
5 Non urlare: non serve mai!
6 Comunicare con sincerità
7 Essere complici nell’educazione dei figli
8 Non alzare le mani!
9 Ricordarsi che mangiare è sempre un rito importante
10 Trovare ogni giorno almeno 10 minuti di tempo
di qualità per stare con ogni bambino
Per la gioia di molti “genitori disperati”, quotidianamente alle prese con “piccoli tiranni” apparentemente indomabili, da venerdì 3 ottobre su FOX Life è tornata l’eccezionale squadra di educatrici “televisive” di “S.O.S Tata”
A metà strada fra “reality” e “tv di servizio”, il 3 ottobre è cominciata la quarta stagione di “S.O.S. Tata”, programma che fin dal suo esordio, nell’autunno del 2005, grazie suo team di “educatrici catodiche” inviate in tutta Italia in soccorso di “famiglie sull’orlo di una crisi di nervi”, ha illuminato milioni di genitori disperati, fornendo loro semplici ma utili precetti in grado, il più delle volte, se non di risolvere almeno di migliorare il rapporto con i loro bambini e, soprattutto, la loro educazione! Fra le novità della nuova stagione - per la quale, quando sono state selezionate le famiglie presso le quali inviare le tate, si è scelto di dare largo spazio anche a realtà “meno tradizionali”, come genitori single e nuclei famigliari “allargati”, in modo da prendere in esame situazioni sempre più comuni anche nel nostro Paese - c’è l’arrivo di Tata Adriana, che ha preso il posto occupato nella scorsa edizione da Tata Renata. Di origine uruguayana ma di formazione statunitense, ormai Adriana è esperta anche di bambini nostrani, visto che per amore del marito italiano vive qui da 15 anni, e proprio per la sua storia personale si è resa conto che alcune problematiche variano da paese a paese. Negli Stati Uniti, per esempio, le case sono più spaziose e spesso hanno un giardino dove i bambini possono sfogare le loro energie; mentre “in Italia - fa notare Adriana - i genitori sono costretti a ritagliarsi almeno due ore al giorno per portare fuori i figli e questo può essere un’ulteriore fonte di sttess”.
La “cura” dura una settimana
Ormai quasi tutti conoscono il semplice meccanismo dello show, visto che le passate edizioni sono state trasmesse anche in chiaro da La7; ma per chi ancora non lo avesse presente, lo riassumiamo brevemente. Ogni puntata documenta fedelmente la missione di una delle tre tate presso una famiglia con figli di età compresa fra i 2 e i 12 anni, concentrando con grande capacità di sintesi in soli 50 minuti decine di ore di filmati. Dopo una breve riunione, durante la quale le tate decidono chi di loro sia più adatta ad affrontare i probemi di quel determinato nucleo famigliare, la prescelta si trasferisce per una settimana presso la famiglia. Di solito, nei primi due giorni la tata si tiene in disparte, osservando attentamente il comportamento di genitori e figli e prendendo diligentemente appunti, mentre nei giorni successivi interviene con decisione, parlando a lungo con tutti, dettando nuove regole ed elargendo saggi consigli con i quali rivoluziona la loro vita, riportando finalmente la pace in casa. ★
IL DECALOGO DELLE TATE:
1 Stabilire le regole e farle rispettare
2 Rispettarsi reciprocamente
3 Programmare i tempi della giornata
4 Rispettare i propri spazi e quelli degli altri
5 Non urlare: non serve mai!
6 Comunicare con sincerità
7 Essere complici nell’educazione dei figli
8 Non alzare le mani!
9 Ricordarsi che mangiare è sempre un rito importante
10 Trovare ogni giorno almeno 10 minuti di tempo
di qualità per stare con ogni bambino
Ricky Memphis in "Crimini BIanchi" - Ottobre 2008
Un avvocato in corsia
Ricky Memphis, protagonista con Daniele Pecci della tanto contestata serie “Crimini Bianchi”, è il primo attore italiano ad avere un ruolo centrale in un medical drama senza indossare il camice
Alla vigilia del debutto di “Crimini bianchi”, la fiction in onda dal 24 settembre su Canale 5 cui abbiamo dedicato ampio spazio nelle scorse settimane, si è scatenata una vera e propria tempesta (e non certo “d’amore”!). E le cose non sono migliorate all’indomani della messa in onda, quando le proteste da parte di medici e paramedici, convinti che la serie possa incrinare il rapporto di fiducia fra malati e personale sanitario, si sono fatte anche più intense, culminando con l’appello al Garante delle telecomunicazioni affinché ne sospendesse la programmazione. Fra le associazioni più insofferenti nei confronti di “Crimini bianchi” c’è l’Amami, che si occupa di tutelare i medici italiani che vengono accusati ingiustamente (dobbiamo tenere a mente, infatti, che capita spesso anche questo!): dal suo punto di vista, infatti, la fiction, spaventando i cittadini, potrebbe istigarli alla “denuncia troppo facile”, fatta cioè per pregiudizio (dopotutto, purtroppo, ogni giorno muore qualcuno in ospedale anche se i medici hanno fatto davvero tutto il possibile...) o, peggio, nella speranza di ottenere un risarcimento economico... Finora, infatti, i “camici bianchi” della tv italiana (a proposito, il gioco di parole del titolo, che ha sostituito la parola “camici” con “crimini”, certo non ha contribuito ad allentare le tensioni!) erano stati sempre raccontati come santi, come “eroi”. Ora, invece, non solo si dividono nettamente in “cattivi” e “buoni”, ma questi ultimi si riconoscono perché si aggirano in corsia scortati... dall’avvocato! Già, una delle novità più eclatanti della nuova serie è proprio il ruolo di primissimo piano del “legale”; in pratica, il responsabile delle pratiche burocratiche necessarie a far sì che i “crimini bianchi” siano denunciati, i colpevoli puniti, le vittime risarcite...
A dare un volto a questa figura così “rivoluzionaria” per il “medical drama” di casa nostra (ma molto più consueta nei telefilm d’oltreoceano, dove il problema delle denunce a carico dei medici è molto più sentito) è stato chiamato Ricky Memphis, al secolo Riccardo Fortunati, che veste i panni dell’avvocato Claudio Bruni. Fondatore insieme al dottor Luca Leoni di un’associazione no profit per la tutela delle vittime di malasanità e responsabile legale della stessa, Bruni nelle prime puntate ci è apparso parimenti impegnato nelle indagini necessarie a far luce su i probabili “crimini bianchi” e nel tenere a freno l’amico medico Leoni che, altrimenti, per la smania di giungere alla verità finirebbe per essere a sua volta denunciato...
Come hanno fatto il resto del cast e il regista della fiction, Alberto Ferrari, che ha dichiarato di aver cercato di affrontare l’argomento con estrema verità, per “raccontare di bravi medici che spesso non sono messi in condizione di fare il proprio lavoro al meglio”, anche Memphis ha difeso con convinzione questo suo ultimo lavoro: “andare ciecamente contro i medici - ha infatti commentato - sarebbe stato l’unico vero errore, ma lo abbiamo evitato”. Al di là delle polemiche, comunque, forse non tutti avrebbero pensato a lui per un ruolo del genere; forse, insomma, con la marcata parlata romanesca e la “parolaccia facile” che hanno sempre contraddistinto i suoi personaggi, nell’immaginario collettivo - o per lo meno in quello di chi non vive nella Capitale e in zone limitrofe - l’ex “Ultrà” non ha esattamente le stigmate dell’Avvocato con la “a” maiuscola... Ma a ben guardare, se non fosse che le puntate sono state registrate in presa diretta (cioè registrando video e sonoro contemporaneamente, senza ricorrere a un successivo doppiaggio, ndr), penalizzando così la performance di Memphis la cui dizione, ostacolata dall’inflessione dialettale, non è mai molto chiara (anzi, se proprio vogliamo essere onesti, non è che si capisca molto cosa dice...), la sua recitazione istintiva non si adatta male alla drammaticità dei temi affrontati. Senza contare - e a nostro avviso è il particolare più importante - che questa è comunque a suo modo una serie “investigativa” e il ruolo del detective, del segugio, è da sempre congeniale a questo attore i cui numerosi fan, dopo l’uscita di scena del suo personaggio Mauro Belli, nella sesta stagione di “Distretto di polizia”, avevano protestato rabbiosamente, formando addirittura comitati di protesta per chiederne a gran voce il ritorno. Erano quindi in molti ad attendere con ansia il suo ritorno alla serialità televisiva in un ruolo di primo piano. Detto, fatto! A esaudire il loro desiderio ci ha pensato Pietro Valsecchi, guarda a caso produttore, oltre che di questa tanto contestata fiction, anche di “Distretto” e, quindi, perfettamente conscio della grande popolarità di Memphis.
Quanto alla parlata borgatara che, a nostro avviso, ormai penalizza pesantemente questo attore non privo di talento, precludendogli un successo più trasversale e probabilmente anche ruoli che si distacchino maggiormente dall’icona del poliziotto tagliato un po’ “con l’accetta”, lo stesso Ricky, in una intervista rilasciata tempo fa a “La Stampa” spiegò perché ancora non avesse “rimediato”: “(...) mi è sempre andata bene, fa tanto ragazzo di borgata, dà spessore al mio personaggio. Però adesso mi sto rendendo conto che questo linguaggio mi limita. Solo che, come al solito, non ho voglia di lavorarci sopra”. Un po’ come è successo con i corsi frequentati per migliorare le sue interpretazioni: “Per recitare - ha raccontato nella stessa occasione - ho frequentato degli stage con l’Actor Studio. Ma a che mi sono serviti? A niente. Il metodo è valido, ma poi io non lavoro abbastanza su me stesso: sono pigro, non mi sforzo!”. Cosa possiamo aggiungere noi? Un tipo così, di solito, o lo si detesta o lo si ama. E a quanto pare, ad amarlo, per il momento sono in molti! ★
Ricky Memphis, protagonista con Daniele Pecci della tanto contestata serie “Crimini Bianchi”, è il primo attore italiano ad avere un ruolo centrale in un medical drama senza indossare il camice
Alla vigilia del debutto di “Crimini bianchi”, la fiction in onda dal 24 settembre su Canale 5 cui abbiamo dedicato ampio spazio nelle scorse settimane, si è scatenata una vera e propria tempesta (e non certo “d’amore”!). E le cose non sono migliorate all’indomani della messa in onda, quando le proteste da parte di medici e paramedici, convinti che la serie possa incrinare il rapporto di fiducia fra malati e personale sanitario, si sono fatte anche più intense, culminando con l’appello al Garante delle telecomunicazioni affinché ne sospendesse la programmazione. Fra le associazioni più insofferenti nei confronti di “Crimini bianchi” c’è l’Amami, che si occupa di tutelare i medici italiani che vengono accusati ingiustamente (dobbiamo tenere a mente, infatti, che capita spesso anche questo!): dal suo punto di vista, infatti, la fiction, spaventando i cittadini, potrebbe istigarli alla “denuncia troppo facile”, fatta cioè per pregiudizio (dopotutto, purtroppo, ogni giorno muore qualcuno in ospedale anche se i medici hanno fatto davvero tutto il possibile...) o, peggio, nella speranza di ottenere un risarcimento economico... Finora, infatti, i “camici bianchi” della tv italiana (a proposito, il gioco di parole del titolo, che ha sostituito la parola “camici” con “crimini”, certo non ha contribuito ad allentare le tensioni!) erano stati sempre raccontati come santi, come “eroi”. Ora, invece, non solo si dividono nettamente in “cattivi” e “buoni”, ma questi ultimi si riconoscono perché si aggirano in corsia scortati... dall’avvocato! Già, una delle novità più eclatanti della nuova serie è proprio il ruolo di primissimo piano del “legale”; in pratica, il responsabile delle pratiche burocratiche necessarie a far sì che i “crimini bianchi” siano denunciati, i colpevoli puniti, le vittime risarcite...
A dare un volto a questa figura così “rivoluzionaria” per il “medical drama” di casa nostra (ma molto più consueta nei telefilm d’oltreoceano, dove il problema delle denunce a carico dei medici è molto più sentito) è stato chiamato Ricky Memphis, al secolo Riccardo Fortunati, che veste i panni dell’avvocato Claudio Bruni. Fondatore insieme al dottor Luca Leoni di un’associazione no profit per la tutela delle vittime di malasanità e responsabile legale della stessa, Bruni nelle prime puntate ci è apparso parimenti impegnato nelle indagini necessarie a far luce su i probabili “crimini bianchi” e nel tenere a freno l’amico medico Leoni che, altrimenti, per la smania di giungere alla verità finirebbe per essere a sua volta denunciato...
Come hanno fatto il resto del cast e il regista della fiction, Alberto Ferrari, che ha dichiarato di aver cercato di affrontare l’argomento con estrema verità, per “raccontare di bravi medici che spesso non sono messi in condizione di fare il proprio lavoro al meglio”, anche Memphis ha difeso con convinzione questo suo ultimo lavoro: “andare ciecamente contro i medici - ha infatti commentato - sarebbe stato l’unico vero errore, ma lo abbiamo evitato”. Al di là delle polemiche, comunque, forse non tutti avrebbero pensato a lui per un ruolo del genere; forse, insomma, con la marcata parlata romanesca e la “parolaccia facile” che hanno sempre contraddistinto i suoi personaggi, nell’immaginario collettivo - o per lo meno in quello di chi non vive nella Capitale e in zone limitrofe - l’ex “Ultrà” non ha esattamente le stigmate dell’Avvocato con la “a” maiuscola... Ma a ben guardare, se non fosse che le puntate sono state registrate in presa diretta (cioè registrando video e sonoro contemporaneamente, senza ricorrere a un successivo doppiaggio, ndr), penalizzando così la performance di Memphis la cui dizione, ostacolata dall’inflessione dialettale, non è mai molto chiara (anzi, se proprio vogliamo essere onesti, non è che si capisca molto cosa dice...), la sua recitazione istintiva non si adatta male alla drammaticità dei temi affrontati. Senza contare - e a nostro avviso è il particolare più importante - che questa è comunque a suo modo una serie “investigativa” e il ruolo del detective, del segugio, è da sempre congeniale a questo attore i cui numerosi fan, dopo l’uscita di scena del suo personaggio Mauro Belli, nella sesta stagione di “Distretto di polizia”, avevano protestato rabbiosamente, formando addirittura comitati di protesta per chiederne a gran voce il ritorno. Erano quindi in molti ad attendere con ansia il suo ritorno alla serialità televisiva in un ruolo di primo piano. Detto, fatto! A esaudire il loro desiderio ci ha pensato Pietro Valsecchi, guarda a caso produttore, oltre che di questa tanto contestata fiction, anche di “Distretto” e, quindi, perfettamente conscio della grande popolarità di Memphis.
Quanto alla parlata borgatara che, a nostro avviso, ormai penalizza pesantemente questo attore non privo di talento, precludendogli un successo più trasversale e probabilmente anche ruoli che si distacchino maggiormente dall’icona del poliziotto tagliato un po’ “con l’accetta”, lo stesso Ricky, in una intervista rilasciata tempo fa a “La Stampa” spiegò perché ancora non avesse “rimediato”: “(...) mi è sempre andata bene, fa tanto ragazzo di borgata, dà spessore al mio personaggio. Però adesso mi sto rendendo conto che questo linguaggio mi limita. Solo che, come al solito, non ho voglia di lavorarci sopra”. Un po’ come è successo con i corsi frequentati per migliorare le sue interpretazioni: “Per recitare - ha raccontato nella stessa occasione - ho frequentato degli stage con l’Actor Studio. Ma a che mi sono serviti? A niente. Il metodo è valido, ma poi io non lavoro abbastanza su me stesso: sono pigro, non mi sforzo!”. Cosa possiamo aggiungere noi? Un tipo così, di solito, o lo si detesta o lo si ama. E a quanto pare, ad amarlo, per il momento sono in molti! ★
"Pushing Daisies" - Ottobre 2008
Il favoloso mondo di Ned
Mercoledì 8 ottobre, la prima serata di Joi si accende dei colori sgargianti di “Pushing Daisies”, una fiaba moderna, surreale e romantica insieme, che con la sua prima, breve stagione ha già incantato gli spettatori d’oltreoceano
“Idon’t wanna pushing daisies!” è un’espressione inglese che in italiano potremmo tradurre con la frase “non voglio mica morire!”. “Pushing daisies”, dunque, il titolo del nuovo telefilm “made in Usa” che debutta l’8 ottobre in prima serata sul canale a pagamento Joi, non è altro che un gioco di parole che ne anticipa velatamente i contenuti surreali. La serie, infatti, affronta esplicitamente anche il tema della morte ma, come accade nelle fiabe, lo fa con toni ovattati, riuscendo a mescolare ad arte elementi grotteschi, mistero e romanticismo e incantando gli spettatori con un’intensa seppur platonica storia d’amore.
Il telefilm racconta la storia di Ned, un giovane pasticcere che fin da bambino possiede un potere straordinario: è in grado di resuscitare i morti semplicemente toccandoli! Purtroppo, però, il suo “dono” ha grosse controindicazioni: se sfiora la stessa persona una seconda volta, infatti, la uccide per sempre e per ogni defunto che resuscita... uno sconosciuto perde la vita! Quando l’investigatore privato Emerson Cod scopre il suo segreto lo convince a collaborare con lui riportando in vita per qualche minuto le vittime di alcuni omicidi, in modo che possano fornire indicazioni utili a incastrare i loro assassini. La storia si complica, però, quando Ned si trova di fronte al corpo senza vita del suo primo amore, la graziosa Chuck, che è stata appena uccisa. Il pasticcere la resuscita e, non tollerando l’idea di perderla nuovamente, decide di lasciarla in vita. Ned nasconde quindi Chuck a casa sua e da quel momento i due ragazzi diventano inseparabili, amandosi intensamente ma... rigorosamente a distanza, perché se solo lui la sfiorasse Chuck morirebbe all’istante! In ogni episodio di questa “favola per adulti”, quindi, una trama poliziesca si intreccia con quella fantasy tipica delle fiabe. Da una parte ci sono i casi di omicidio che Ned e Emerson risolvono insieme; dall’altra le storie dei personaggi che, puntata dopo puntata, si arricchiscono anche di dettagli relativi al passato grazie a efficaci flash-back.
Negli Usa, dove ha debuttato un anno fa, la prima, breve stagione della serie (sono state realizzate solo 9 puntate, a causa dello scipero degli sceneggiatori) ha avuto una media di 10 milioni di telespettatori ed è stata molto apprezzata anche dalla critica, che ne ha gradito le atmosfere surreali e ne ha ampiamente lodato la grande originalità. Se anche voi avete voglia di una ventata d’aria fresca, quindi - o anche solo se avete amato gli indimenticabili colori del film “Il favoloso mondo di Amélie” (2001) o se vi commuovete a ogni passaggio televisivo di “Edward mani di forbice” (1990) per il suo amore impossibile - non potete davvero perdervela! ★
Mercoledì 8 ottobre, la prima serata di Joi si accende dei colori sgargianti di “Pushing Daisies”, una fiaba moderna, surreale e romantica insieme, che con la sua prima, breve stagione ha già incantato gli spettatori d’oltreoceano
“Idon’t wanna pushing daisies!” è un’espressione inglese che in italiano potremmo tradurre con la frase “non voglio mica morire!”. “Pushing daisies”, dunque, il titolo del nuovo telefilm “made in Usa” che debutta l’8 ottobre in prima serata sul canale a pagamento Joi, non è altro che un gioco di parole che ne anticipa velatamente i contenuti surreali. La serie, infatti, affronta esplicitamente anche il tema della morte ma, come accade nelle fiabe, lo fa con toni ovattati, riuscendo a mescolare ad arte elementi grotteschi, mistero e romanticismo e incantando gli spettatori con un’intensa seppur platonica storia d’amore.
Il telefilm racconta la storia di Ned, un giovane pasticcere che fin da bambino possiede un potere straordinario: è in grado di resuscitare i morti semplicemente toccandoli! Purtroppo, però, il suo “dono” ha grosse controindicazioni: se sfiora la stessa persona una seconda volta, infatti, la uccide per sempre e per ogni defunto che resuscita... uno sconosciuto perde la vita! Quando l’investigatore privato Emerson Cod scopre il suo segreto lo convince a collaborare con lui riportando in vita per qualche minuto le vittime di alcuni omicidi, in modo che possano fornire indicazioni utili a incastrare i loro assassini. La storia si complica, però, quando Ned si trova di fronte al corpo senza vita del suo primo amore, la graziosa Chuck, che è stata appena uccisa. Il pasticcere la resuscita e, non tollerando l’idea di perderla nuovamente, decide di lasciarla in vita. Ned nasconde quindi Chuck a casa sua e da quel momento i due ragazzi diventano inseparabili, amandosi intensamente ma... rigorosamente a distanza, perché se solo lui la sfiorasse Chuck morirebbe all’istante! In ogni episodio di questa “favola per adulti”, quindi, una trama poliziesca si intreccia con quella fantasy tipica delle fiabe. Da una parte ci sono i casi di omicidio che Ned e Emerson risolvono insieme; dall’altra le storie dei personaggi che, puntata dopo puntata, si arricchiscono anche di dettagli relativi al passato grazie a efficaci flash-back.
Negli Usa, dove ha debuttato un anno fa, la prima, breve stagione della serie (sono state realizzate solo 9 puntate, a causa dello scipero degli sceneggiatori) ha avuto una media di 10 milioni di telespettatori ed è stata molto apprezzata anche dalla critica, che ne ha gradito le atmosfere surreali e ne ha ampiamente lodato la grande originalità. Se anche voi avete voglia di una ventata d’aria fresca, quindi - o anche solo se avete amato gli indimenticabili colori del film “Il favoloso mondo di Amélie” (2001) o se vi commuovete a ogni passaggio televisivo di “Edward mani di forbice” (1990) per il suo amore impossibile - non potete davvero perdervela! ★
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